Questa è la storia di Chiara, arrivata alla Grande Casa dei Capitani Coraggiosi il 16 marzo, in pieno lockdown. Appena dimessa dal Reparto Trapianto di Midollo Osseo, visto il periodo di grande emergenza e la vicinanza con il Gaslini, Chiara ha raggiunto la nostra Casa a piedi. Si trattava della prima passeggiata della sua “nuova vita”.
Chiara era stanca e provata, ma ha saputo regalare a noi volontari e agli altri ospiti della casa il suo essere “Chiara”: non solo la “busisness girl” bionda, neolaureata in Cattolica, abituata all’aperitivo sui Navigli, ma anche la meravigliosa giovane donna che si è riaffacciava alla vita con una prospettiva tutta nuova…
La sua testimonianza
«Mi chiamo Chiara, ho 25 anni e sono nata e cresciuta a Siracusa. Cinque anni fa mi sono trasferita a Milano per gli studi universitari e nell’aprile 2019, mi sono laureata in Economia e Gestione Aziendale. Ho subito intrapreso una carriera professionale “da favola”: lavoravo in una centralissima banca in Piazza Duomo, con scrivania vista Madonnina!
Insomma, mi ritenevo una ragazza fortunata: stavo realizzando i miei sogni e camminavo per le vie del centro con orgoglio e spensieratezza.
A luglio dello stesso anno, però, ho ricevuto una chiamata dal laboratorio d’analisi, per via di un valore anomalo riscontrato nel sangue.Da quel giorno sono iniziati i ricoveri, i prelievi del sangue e del midollo osseo e molti altri esami di ogni tipo. Fino alla diagnosi definitiva da parte dell’ospedale, con la conferma di dover procedere al trapianto di midollo osseo.
Dal San Raffaele di Milano sono stata trasferita in Ematologia-Oncologia pediatrica al Gaslini di Genova. Infatti, la mia patologia, un’aplasia midollare, si riscontra più comunemente in età infantile. Trovarmi insieme ai bambini ricoverati con me – così piccoli, così indifesi – è stata una stretta al cuore. Ma loro, sorridendomi, mi hanno dato la forza di pensare che, proprio come loro, anche io avrei potuto sopportare tutto questo.
Una volta affrontato il trapianto e ottenute le dimissioni dall’ospedale, mi aspettava ancora un percorso lungo e faticoso. È proprio in questa fase così delicata che sono stata accolta da ABEO in uno dei mini-appartamenti della Grande Casa dei Capitani Coraggiosi, adiacente all’ospedale.
Il ruolo di ABEO è stato fondamentale: con loro, in un periodo così complicato della mia vita, mi sono sentita in “famiglia”. Una famiglia multiculturale, con bambini provenienti da ogni parte del mondo che, “come me”, quotidianamente fanno i conti con una situazione difficile.
Mi sono sentita parte di una società nella società, e ho scoperto una parte di me stessa che non conoscevo, perché in contesti “normali” non era mai emersa.
Ogni giorno mi svegliavo, facevo colazione (con la mia dose di medicine giornaliere!) e non vedevo l’ora di andare in giardino a giocare con gli altri bambini. Proprio così: ho avuto l’opportunità di tornare bambina e, allo stesso tempo, di essere la loro “insegnante”. Ho dato tutta me stessa a loro, e loro mi hanno restituito mille volte di più.
Ho giocato a nascondino, a palla, con le macchine e con le bambole, ci siamo fatti i gavettoni e corso in bicicletta… con la spensieratezza che solo i bambini sanno trovare.
Ho realizzato una casa delle bambole con materiali di riciclo, scoprendo io stessa doti nascoste di artista, designer, architetto.
Con le volontarie, invece, ho imparato a cucire all’uncinetto e ne è scaturita una vera e propria passione.
Così, ora che sono ritornata a casa, ho creato il mio angolino “fai da te” in cui continuo a tirar fuori la mia creatività, scoperta proprio in quelle giornate così delicate passate nella Grande Casa dei Capitani Coraggiosi.
A Genova mi è stata riestituita la speranza, grazie all’operazione, ma anche qualcosa di più: ho ritrovato la felicità, la forza e la bellezza della vita, vedendola ogni giorno negli occhi e nei sorrisi dei bambini che hanno condiviso con me un pezzetto di questo cammino.
Ho assistito all’amore incondizionato dei genitori verso i propri figli, e credo che non esista un legame più puro e vero di questo.
Stavo per smettere di credere all’amore, ma poi sono arrivata qui».